PINO DANIELE: IL SENSIBILIE ANIMO ARTISTICO CHE NON SI PUO’ SPIEGARE E CHE SOLO NAPOLI PUO’ RACCONTARE

07.01.2015 19:15

di Lello La Pietra


Noi giornalisti non siamo artisti, o almeno non lo siamo completamente. Non possiamo comprendere, fino in fondo, le esigenze di un musicista, i desideri di un cantante, le ispirazioni di un cultore dell'arte a 360 gradi .  Anche l'esperto musicale, il più competente, può esprimere la sua critica (positiva, negativa o costruttiva), con un grado di giudizio più elevato, più acuto ed obiettivo, ma l'ispirazione è altra cosa, la vena e il sentimento artistico sono ben distanti dalla vita reale, da noi comuni mortali che non viviamo di pane e musica, di note e tintinnii particolari, quelli che improvvisamente attirano il musicista in un momento della giornata, così come facevano le sirene con Ulisse.

Noi osserviamo, ascoltiamo, raccontiamo, prestiamo attenzione al senso della misura, arriviamo spesso al limite,  ma non possiamo comprendere cosa significa voler restare da soli con una chitarra o un pianoforte, restare svegli di notte perchè il cuore ti detta parole che diventano testo e poi canzone. Sappiamo, osserviamo, apprendiamo, ma non possiamo comprendere il complesso adattamento del mondo di un artista al mondo cosiddetto "normale". Se questi strani fenomeni di sensibilità crescono in una città come Napoli, il discorso diventa ancora più complesso.

Pino Daniele aveva dentro il fuoco di Napoli, il cuore  del centro storico, l’animo sensibile e una comunicazione silenziosa. E forse, anche detto così, non può essere comprensibile. Aveva dentro quelle energie del disagio partenopeo che lui sapeva addolcire con la musica, capace di trasformare quell'odio/amore che appartiene a tutti i napoletani in una cosa vera. Cresceva come tutti gli altri difendendosi dalle brutture della città del golfo ed apprezzandone la naturale quotidianità. Lui non programmava nulla, sentiva l'odore del mare e lo portava sulle corde della sua chitarra, sentiva le voci del popolo e le portava nei suoi brani, assimilava i vari linguaggi dell’epoca e li cantava. E mentre gli altri vivevano normalmente, lui sentiva e respirava musica, ogni giorno, sperimentava, fondeva, univa più culture e lingue, sfatando quasi la torre di Babele. Da profano penso che, solo in questo modo, possono nascere capolavori come Napule è, Terra mia,  Je so pazz, Alleria,  Yes, I know my way...e tanti altri. Ed è ormai noto, che basta anche una canzone di successo per renderti la vita facile e la strada in  discesa. Ma a Pino non interessava tutto questo, perché lui era troppo concentrato a comunicare, nel miglior modo, ciò che sentiva.

La mattina che ho appreso della sua morte ho voluto pubblicare anche io il mio post su Facebook e ricordare Pino Daniele con alcune foto, ma precisando "..non sono mai stato un tuo accanito fan, ma un grande estimatore per la tua musica speciale e il coraggio di diffondere le radici del linguaggio partenopeo in tutto il mondo". Oggi aggiungo che non posso comprenderlo a fondo perchè sono un giornalista e non un artista, ma posso sentirlo e capirlo perchè sono un napoletano.

Fans di tutta Italia, politici, giovani, cittadini comuni che in quelle ore hanno pubblicato il loro pensiero, lo hanno fatto spontaneamente, spinti dai legami di amicizia, dal rispetto per un personaggio che ha lasciato comunque un patrimonio culturale al paese, e stimolati anche dalla lunga onda emotiva. Credo però che coloro che davvero ci possono raccontare Pino Daniele sono i napoletani, quelli veri, cresciuti in quell’epoca di rinascimento musicale. E non lo dico da napoletano e senza nessun campanilismo, lo dico perchè avverto che non può essere altrimenti, lo sento come lui sentiva i rumori del centro storico, i “mille culure” e “à voce de criature”. Sento che è così, perché non si spiega la presenza di 100 mila persone, 100 mila napoletani uniti in piazza del Plebiscito da una sola voce sia per il flash mob, tra migliaia di luci e candele, sia per la cerimonia funebre.

Ed anche se in diversi programmi televisivi nazionali è stato detto che Pino Daniele e figlio d’Italia, perché in altre piazze non è accaduta la stessa cosa??? Io ribadisco che è figlio di Napoli, lasciamolo raccontare a quei napoletani del Plebiscito, ma anche ai napoletani artisti che hanno avuto le stesse ispirazioni e che da Pino hanno imparato tanto: James Senese, Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Tony Esposito, Nino D’Angelo, Enzo Gragnaniello, Edoardo Bennato, Eugenio Bennato, Enzo Avitabile, Teresa De Sio quelli che innaffiano ancora oggi, senza timore, le radici personali all’ombra del Vesuvio per la difesa della nostra millenaria cultura musicale.

Ed ora non permettiamo che, neomelodici, musicisti e cantanti vari, reduci da  scuole di “d'alessiana memoria” oppure rappers improvvisati e non napoletani, si facciano spazio approfittando  di una grande scomparsa e dell'immagine di Napoli. Non permettiamo che l'arte di qualità venga sporcata o utilizzata da chi ha sempre odiato e criticato Napoli. L'impegno è quello di ricostruire una città con la stessa unione che si dimostra per la musica e la solidarietà, ma anche di rifondare una sana cultura artistica, favorire un altro rinascimento, riprendere tutto ciò che ci hanno lasciato i nostri padri di Napoli che hanno consacrato il teatro, il cinema, la musica e la canzone. Quei nostri padri, oggi, non avrebbero avuto bisogno dei social network e delle apparizioni televisive. I grandi artisti, cantautori o poeti hanno sempre evitato le troppe apparizioni e le scene di popolarità, Pino Daniele era uno di questi.


Ciao Pino…Grazie Pino

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