TERRONISMO: IL SAGGIO DI MARCO DE MARCO CHE, CON L’AMORE PER IL MEZZOGIORNO, RACCONTA UN SUD ANCORA MALATO DI ORGOGLIO ED UN NORD PIENO DI PREGIUDIZI

20.04.2011 11:15

 Che cosa intende con queste parole Marco Demarco, giornalista e studioso che da sempre scava alle radici dei pregiudizi antimeridionali?

L’Unità d’Italia non è mai stata tanto controversa quanto oggi, tutti impegnati come siamo a festeggiarne i 150 anni. Alla più che ventennale Lega Nord è venuto in tempi recenti ad affiancarsi da sud il revisionismo neoborbonico, il cui sostenitore più famoso è Pino Aprile, autore del bestseller Terroni. Secondo Demarco, le espressioni estreme di questi due fenomeni, il turboleghismo e l’ultrasudismo – che stanno gravemente minando la percezione che gli italiani hanno del proprio Paese –, sono sì antitetiche, ma nella sostanza identiche, perché entrambe separatiste, rivendicative e condite con un pizzico (più o meno abbondante) di razzismo. Per definirle con un termine unico, l’autore ha coniato una parola nuova: “terronismo”.

Rievocando storie passate e recentissime, raccontandoci personaggi sorprendenti e misconosciuti come Caccioppoli ‘o professore, recuperando pagine curiose dalla letteratura di tutti i tempi – da un Dante che suggerì a Giotto di raffigurare i napoletani in forme di asini a un Camilleri forse troppo entusiasta dei telai di Sicilia (e quelli di Biella?) –, in questo saggio acuto e provocatorio Demarco ricostruisce la storia dei pregiudizi che ci stanno sovrastando e lancia un appello accorato, nella convinzione che l’Unità d’Italia abbia fatto del bene a tutti, e soprattutto possa continuare a farne in futuro. Alimentare odio per stereotipi, rinchiudersi in un ottuso orgoglio nordista o sudista non potranno mai giovare a nessuno.

Terronismo non è il libro di un uomo del Sud contro la sua terra. Anzi, Demarco esordisce con una dichiarazione d’amore per il Mezzogiorno. «Ogni volta che qualcuno parla dei meridionali e ne parla male, ogni volta che si allude alla nostra diversità e si fa l’elenco dei nostri difetti, a me viene spontaneo, per reazione, ricordare cosa riuscì a combinare una sera il professore Renato Caccioppoli» , il genio della matematica che, nei giorni della visita di Hitler a Napoli, suonò la Marsigliese in una birreria piena di fascisti e nazisti, in anticipo di quattro anni sui personaggi – immaginari – di Casablanca. Allo stesso modo, Demarco rifiuta l’etichetta di «novantanovino» , il napoletano nostalgico dell’élite giacobina del 1799, di cui indica il campione oggi in Gerardo Marotta, presidente ad vitam dell’Istituto di studi filosofici, o nel procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, «che ho visto piangere e immalinconirsi a ogni citazione di Francesco Mario Pagano, padre della Costituzione della Repubblica napoletana» . «Non credo — scrive Demarco — che il mio sia il tipico disagio illuministico di chi vive male la propria meridionalità. La vivo bene, anzi benissimo. A patto che non sia totalizzante, che non diventi l’espressione di una nuova ideologia». Il saggio è convincente sia per la tesi sia per lo stile: mai apodittico, sempre avvolgente, con il tono di chi si siede davanti a un amico in birreria e comincia a raccontargli una storia. Chi conosce e di conseguenza apprezza Demarco avrà davvero l’impressione di sentirlo parlare, e di avvertire, oltre al fascino intellettuale, la consistenza morale di un uomo che ama la sua terra e proprio per questo la vorrebbe migliore, consapevole del proprio immenso potenziale, non rassegnata e tanto meno compiaciuta dei propri vizi.

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