NEMO PROPHETA ALL'OMBRA DEL VESUVIO. IL POPOLO NAPOLETANO DEI SOCIAL NETWORK SI METTE IN MOSTRA CRITICANDO LA "SUA" GRANDE BELLEZZA

05.03.2014 15:16

Invece di ripartire dal successo de "La Grande Bellezza" come orgoglio e riscatto di Napoli, gran parte del popolo partenopeo mette in mostra sui social network le critiche al film di Paolo Sorrentino, anche senza analisi e dovuta competenza 

di Lello La Pietra

I primi a criticare “La Grande Bellezza” sono soprattutto i napoletani, in particolare quelli che popolano le bacheche di Facebook e Twitter, quei napoletani che pur orgogliosi del premio Oscar, non analizzano il film, non lo scoprono, sono pronti a giudicare un successo che parte dalla loro città ed attaccano un vero napoletano come Paolo Sorrentino. Soprattutto le nuove generazioni fanno paragoni, nominano Fellini, la Dolce vita, solo per sentito dire, senza sapere, senza conoscere. Lo stesso regista ha dichiarato con la statuetta in mano che Federico Fellini è stata una delle sue fonti di ispirazioni, e allora? Che bisogno c’è di fare ancora confronti?

Leggendo post e tweet, durante e dopo il film, La Grande Bellezza si è trasformata subito nella Grande Tristezza, la tristezza di trovarci di fronte ad un popolo nuovo che avverte solo l’esigenza di evidenziare, in tutta fretta, il proprio pensiero.

E’ proprio vero, aveva ragione il grande Eduardo quando dichiarò “Se volete fare qualcosa di buono, fuitevenne ‘a Napoli”. Nemo propheta in patria, anzi all’ombra del Vesuvio! La Grande Bellezza potrebbe essere un punto dal quale ripartire, riscattare la genialità e creatività di Napoli e del sud, nel mondo intero e contro un Nord che continua a segnare confini territoriali e una “Roma Caput Mundi” che continua a sentirsi unica e a tenere la mano sul capo, per impedire alla capitale del Mediterraneo di spiccare il volo.

Io, con convinzione, dico bravo a Paolo Sorrentino, dico bravo a Toni Servillo, e tutti gli altri attori che hanno saputo trasferire sul grande schermo il pensiero, l’idea, o meglio, ciò che il regista già immaginava prima di battere il Ciak. Paolo Sorrentino è andato oltre, ha dato luce  e valenza alla bellezza del patrimonio storico, artistico e monumentale di Roma (che è anche quella del paese intero), quel patrimonio che sta lì fermo da secoli e di fronte al quale restiamo spesso indifferenti.

Non ci interessiamo più di ciò che il passato ci ha lasciato,  di ciò che la storia ci ha consegnato, la facciamo apprezzare dai turisti stranieri, la facciamo distruggere dall’abbandono e dal vandalismo e non proteggiamo quello che arricchisce le nostre città e i nostri territori.

E poi c’è il nulla, il vuoto, l’inconsistente “bla bla bla” di cui parla il protagonista Jep Gambardella e che ci circonda ogni giorno, grazie alla politica degli ultimi anni, a meteore e personaggi improvvisati, all’imponenza mediatica, al progressivo labirinto tecnologico e virtuale che ci sta togliendo il respiro. E lo stesso “bla bla bla” lo abbiamo visto anche dopo il film in tv, sui social network, tutti pronti ad esprimere la personale opinione, soprattutto di dissenso, già dopo circa 15/20 minuti di messa in onda. Quella fretta di cui sopra, quella fretta di essere protagonisti prima degli altri.

La maggior parte degli italiani (quasi 9 milioni su canale 5 con il 36% di share) si sono messi comodamente seduti davanti alla tv, soprattutto per soddisfare la propria  curiosità dopo l’Oscar a Sorrentino, per prendere parte ad una conoscenza di massa, per dire “c’ero anche io”, “ho visto anche io il film”, “io la penso così” e convincendosi quasi di tenere in mano la verità o la vera critica costruttiva o distruttiva al film. E senza neanche riflettere che “La Grande bellezza ” è arrivata nelle sale cinematografiche nel maggio del 2013.

Tartassati negli ultimi anni dal dominio del cine panettone, dei film di singoli comici e cabarettisti, passati velocemente dal teatro, alla tv e al grande schermo, abbiamo perso di vista il senso del cinema, del contenuto, del messaggio, dei dialoghi, del peso e del significato di una frase detta in un determinato momento storico. Ci aspettiamo gli effetti, le trame strappalacrime, le scene di azione e le classiche americanate. Ma alla fine sono stati proprio gli americani che ci hanno premiato. Abbiamo dimenticato il vero ruolo della macchina da presa, dell’inquadratura e della fotografia. Paolo Sorrentino, nato  nella città che ha segnato la storia del grande schermo,  ha dato spazio anche a questo, alla grande bellezza del cinema, alla voglia di riappropriarsi della visione in pellicola e di scrutare in essa le verità, le sensazioni e i contenuti che nella realtà ci sfuggono.

Dopo aver visto questo film la sensazione è quella di sentirsi quasi isolati e vuoti come il protagonista. Tutto questo non dipende dal film, ma dalla verità che Paolo Sorrentino ha fatto venir fuori con creatività e delicatezza, con maestria e genialità partenopea.

Per dare una scossa alle nostre città e comunità, alle nuove generazioni e al paese intero, ci vorrebbero più persone come Jep Gambardella, che pur vivendo nel nulla, si accorge della leggerezza ed inutilità, e fa delle sane riflessioni che dovrebbero aiutare noi tutti, soprattutto i numerosi napoletani dei social network:

«Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?»

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