LA SCOZIA E IL SUO WHISKY: AL VIA UNA RICERCA PER UTILIZZARE GLI SCARTI E PRODURRE BIOCARBURANTE.

27.11.2010 16:57


Insegnando bar in una scuola alberghiera non puoi ignorare delle tematiche di studio che vanno ad arricchire un argomento quello del whisky, ritenuto forse per alcuni semplice, banale ma che cela una sua storia legato al territorio di origine che è la Scozia.

La Scozia ti affascina per la bellezza dei suoi laghi, delle sue leggende, delle sue gole, dei suoi corsi d’acqua. La capitale della Scozia è Edimburgo, col suo castello e la cerchia collinare, la sua città vecchia dalle stradette pregne di storia e la spaziosa ed elegante parte nuova come Aberden, “la città del granito”. In questo scenario quasi surreale aggiungete l’uso di indossare il kilt, gli allegri colori del tartan un particolare disegno dei tessuti in lana delle Highland scozzesi, la musica della cornamusa e la predilezione di produrre il whisky.

Sfogliando il libro di David Daiches “Lo Scotch whisky”, vengo colpito dal fatto che il whisky oltre a soddisfare i bisogni quotidiani aveva funzioni rituali e sacramentali. Era ad esempio la bevanda tradizionale dei funerali, e quest’ uso in Scozia è vivo tutt’ora. Anche le donne bevevano whisky, alcune fin dal mattino, e una delle bevande più diffuse era il toddy, a base di whisky, acqua calda e zucchero. Un cucchiaino di whisky era dato perfino ai bambini, mentre gli uomini che lavoravano nei boschi ne spettavano ben tre dosi il giorno.

Il periodo che comprende le due guerre mondiali e l’epoca del Proibizionismo americano ha inciso profondamente sul mercato mondiale del whisky e del whiskey. Le distillerie furono requisite per produrre alcol industriale, ma si cercò di salvaguardare le esportazioni, che già allora costituivano un’importante voce delle finanze statali. E solo nel 1934 negli Stati Uniti il Proibizionismo fu finalmente abolito.

Agli inizi del secolo, lo Scotch whisky trovò un altro mercato: quello giapponese. In Giappone il whisky che proveniva dalle distillerie scozzesi venne ben presto considerato una bevanda esotica ed elitaria, e già negli anni Venti gli abitanti dell’arcipelago iniziarono a produrne in proprio. Pensate che la prima distilleria venne costruita nel 1923 nella valle Vamazaky, vicino a Tokio. Ma il vero boom del whisky giapponese avvenne soltanto dopo la fine del secondo conflitto mondiale.

Cari amici del Fantasy Shaker, il Sole 24 0re riporta la notizia di un team di scienziati della Napier University di Edimburgo che ha messo a punto un sistema per produrre biocarburante utilizzando gli scarti della produzione di whisky. La distilleria Glenkinchie, di proprietà della Diageo, ha fornito al team la "materia prima": il liquido e la poltiglia che sono i due prodotti di scarto della distillazione del whisky e che sono stati trasformati in biocarburante. L'industria del whisky vale quattro miliardi di sterline all'anno. Il nuovo prodotto ha un potenziale simile, secondo Tangney, perché può essere utilizzato dalle automobili senza bisogno di adattamenti ed è adatto anche come carburante per aerei. Il butanolo può servire anche come base per prodotti chimici e solventi come l'acetone. Il World Wildlife Fund ha subito espresso sostegno al progetto, dicendo che utilizzare scarti di produzione per produrre biocarburante è molto preferibile alle coltivazioni ad hoc per produrre etanolo.

Dopo due anni di esperimenti e ricerche, gli scienziati sono riusciti a produrre butanolo, un biocarburante che ha una rendimento superiore del 30% all'etanolo attualmente utilizzato. Il nuovo biocarburante, che secondo il professor Martin Tangney, leader dei ricercatori "è pressoché equivalente alla benzina" come prestazioni, potrebbe essere in vendita nei distributori entro pochi anni. Una notizia interessante e bizzarra dove l’automobilistica va dal benzinaio e richiede un pieno di whisky.

 

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