INTERVISTA CON L'ECONOMISTA NAPOLETANO GIANNI LEPRE: NONOSTANTE LA CRISI CREDO NEI GIOVANI, NELLE LORO IDEE E NELLE CHANCE CHE HANNO LE IMPRESE DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO

27.11.2012 15:29

di Lello La Pietra

Il nostro portale non trascura l'aspetto economico, imprenditoriale e soprattutto le capacità e le buone idee che possono innescare meccanismi positivi nella socità moderna e favorire sviluppo e benessere. Abbiamo avvicinato la nostra lente di ingrandimento sulla Lepre Group  società che opera dal 1971 nella consulenza alle aziende del lusso e dell'artigianato di alta qualità. Con Studi a Napoli al Borgo Orefici e al Centro Orafo Il Tarì di Marcianise, con cinquecento aziende clienti Lepre Group è una realtà unica per la sua specializzazione nel settore orafo e dei preziosi. Il Presidente è Gianni Lepre, economista ed esperto di percorsi di marketing, comunicazione e pubbliche relazioni per l'impresa. E' stato già ospite in numerose edizioni del TG1 per il punto sull'economia ed è autore de “ L’Industria Orafa Italiana e Internazionale. Valori, criticità, modelli di sviluppo”- Collana dell’Università LUM JEAN MONNET. Con lui abbiamo fatto un bilancio della sua azienda, ma abbiamo anche guardato nello spioncino del futuro tra crisi economica, imprese a rischio e giovani sfiduciati e senza lavoro

La Lepre Group compie 40 anni confermando una costante attività al fianco delle imprese e dell'artigianato. Che bilancio si può fare e quali sono stati gli anni che hanno dato maggiori successi e soddisfazioni?

Direi che il bilancio può dirsi senz’altro positivo. In questi quattro decenni abbiamo offerto servizi di consulenza sempre più articolati, ampliando gradualmente la gamma di prestazioni offerte a una clientele in costante crescita.  Potrei dire che gli anni iniziali in cui lo studio si è strutturato sono stati quelli ‘eroici’, da ricordare con maggiore soddisfazione, ma in realtà non è così, perché ogni epoca ha i suoi obiettivi e i suoi traguardi raggiunti. Oggi sono affiancato al timone da mia figlia Anna, e ciò costituisce un ulteriore sprone in vista del rinnovamento e dell’ulteriore potenziamento dell’impresa.

Cosa significa oggi dirigere una propria impresa a Napoli e in Campania?
E’ una sfida quotidiana. Sono tante le diseconomie cui dobbiamo fare fronte. Servizi pubblici carenti, insufficiente attenzione verso i valori della cultura d’impresa, traffico e viabilità al limite dell’impossibile. Ne consegue che bisogna investire più tempo e denaro a parità di risultati. Insomma, la nostra è una competizione ad handicap. L’auspicio è che i tentativi di rinnovamento avviati dalle istituzioni locali abbiano buon esito.


L'artigianato e il settore orafo sono categorie che possono contribuire a rilanciare l'economia soprattutto al sud?

Senza dubbio. Naturalmente la nostra economia non può vivere solo di artigianato e di oreficeria, ma è evidente che questi settori possono dare molto di più per lo sviluppo e anche per l’occupazione. Un esempio per tutti: le aziende orafe locali hanno livelli di internazionalizzazione molto limitati, pur essendo portatori di una cultura del gioiello d’eccellenza ineguagliabile. Sono fiducioso in una crescita considerevole a questo riguardo. Tra l’altro, ce lo impone la globalizzazione, non esistono più mercati di nicchia.


E' un momento in cui la parola crisi regna sovrana in ogni famiglia, azienda e settore lavorativo, quali sono le maggiori difficoltà oggi nel consigliare, guidare una piccola e media impresa?

E’ un momento arduo per diverse aziende. In tempi di recessione la ricetta migliore è investire, innovare, fare da battipista dando vita a nuovi processi produttivi e a nuove produzioni. “Distinguersi o estinguersi”, per dirla con Reinhold Niebuhr. Ma per farlo ci vogliono risorse. E’ noto come le imprese del Sud siano storicamente afflitte da problemi di sottocapitalizzazione. In questi ultimi tempi il credit crunch sbarra spesso la strada anche agli affidamenti. Bisognerebbe spesso trovare il coraggio, la determinazione ma direi anche l’umiltà per ricercare forme di aggregazione, aumentando la massa critica e rendendo quanto meno comuni a più imprese alcuni servizi. E’ una delle principali opzioni che consigliamo, non solo a chi è in grave difficoltà. Meglio fare certe operazioni per tempo, piuttosto che spinti dalla necessità.


Senza fare polemiche o differenze tra sud e nord, ma le imprese e gli imprenditori del Mezzogiorno hanno una marcia in più?

Non la metterei così. E’ vero che l’imprenditore del Sud deve superare ostacoli sconosciuti a quello del Nord.  E’ anche vero, tuttavia, che la dimensione dell’economia nel settentrione è tale da indurre gli operatori a fronteggiare strumenti spesso più sofisticati e complessi. Penso ad esempio alla finanza innovativa, quella ovviamente virtuosa e non le sue degenerazioni. Credo comunque che, se riuscissimo finalmente a imprimere al territorio meridionale un’accelerata tale da far crescere il pil del Sud più della media del Paese, non torneremmo più indietro. Anche i nostri, insomma, ci sanno fare, ma non gli si può chiedere come è stato fatto fino ad ora di concorrere ad armi impari.


Secondo lei quali sono i tempi e quali sono le migliori strategie affinché la nostra economia si rimetta in moto e possa competere a livello internazionale?

Ritengo difficile che si possa parlare seriamente di ripresa prima del 2014-2015. Per rimettere in moto l’economia occorre proseguire con ancora maggiore incisività sulla strada delle riforme, incrementando le misure finalizzate a favorire lo sviluppo. Senza crescita, inasprimenti di imposte e tagli alla spesa pubblica servono a poco. In ogni caso, è venuto il momento di arrestarsi sul fronte della pressione fiscale. Facciamo una spending review seria, capillare, a cominciare dai costi della politica oltre che dell’amministrazione pubblica. E utilizziamo parte di quanto si risparmia per invertire la tendenza e diminuire le tasse. Solo così potranno ripartire i consumi interni.


La crisi ha fermato e distrutto molte imprese ed attività, ma ha contribuito ad isolare ancora di più i giovani che rappresentano purtroppo le tristi percentuali della disoccupazione. In un momento come questo, cosa si sente di consigliare ad un giovane in cerca di lavoro?

I giovani sono il patrimonio con il quale il paese può investire per il proprio futuro. Ma attenti a blandirli, al giovanilismo di facciata. Vogliamo ricordare cos’era l’Italia nell’immediato dopoguerra? Possiamo mai paragonare quella situazione a quella attuale? E’ allora importante che i giovani capiscano che l’avvenire dipende in primo luogo dalla loro capacità di impegno, di lavoro, di ‘fatica’, di intraprendenza. Anche in politica, chi vuole innovare deve dimostrare davvero di essere portatore del nuovo. Producendo idee, adottando linee comportamentali tali da differenziare una nuova classe politica da quella precedente. Insomma, i giovani non possono aspettare che la vecchia classe dirigente si faccia da parte da sola, devono conquistarsi, ovviamente con metodi pacifici, spazio, riconoscibilità e fiducia.


In conclusione le ricordo una celebre frase di John Fitzgerald Kennedy: "La parola crisi, scritta in cinese, è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l'altro rappresenta l'opportunità". Lei ci crede?

Ne sono assolutamente convinto. Come diceva John Gardner, “ogni avversità è un’opportunità sapientemente mascherata”. Sotto questo aspetto, vedo nell’attuale congiuntura una grande chance per l’impresa di Napoli, della Campania, del Mezzogiorno.

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