DA NAPOLI PARTE UN’INIZIATIVA PER RILANCIARE L’OREFICERIA ITALIANA. IL SUO NOME E' OROITALY E CONTA GIA' 70 IMPRESE

09.05.2015 20:23

di Giovanni Lepre 
Segretario generale Oroitaly

Che un’iniziativa nazionale di grandi ambizioni parta da Napoli è un fatto inusuale. E’ tuttavia proprio quello che è accaduto nel caso di Oroitaly, l’associazione presieduta da Generoso de Sieno, che si propone di rilanciare l’oreficeria italiana. Presentata ufficialmente nei giorni scorsi presso la Camera di commercio partenopea, Oroitaly conta già settanta imprese il cui gruppo fondativo ha sede nei centri storici del prodotto made in Naples, Borgo Orefici, Tarì e Oromare, ma che includono anche significative presenze provenienti da Milano, Roma, Bari e Palermo.


La dimensione delle oltre novemila aziende orafe presenti nella Penisola è mediamente ridotta. Parliamo di appena quattro addetti per unità produttiva. Questa condizione, plausibile fino a pochi anni fa, può diventare un ostacolo se misurata con l’esigenza indifferibile di internazionalizzare la preziosa merce, anche per la crisi del mercato domestico.

 

L’industria dell’oro italiano ha pagato più di altri il prezzo della recessione, con cali occupazionali del 10%, superiori a quelli registratisi in altri comparti. La strada per il rilancio è percorribile, e una delle priorità da perseguire sta nel fare rete, superando quel limite dimensionale che finora, soprattutto ma non solo al Sud, ha impedito un più ampio successo estero di un settore, che pure per tradizione è apprezzato in tutto il mondo.


Innovare, aggregarsi. L’altra parola chiave di Oroitaly è formare. Bisogna ritrovare la bottega scuola dell’artigianato d’eccellenza, riattivando il processo di trasmissione di un sapere che altrimenti rischia di andare disperso. Per farlo, non basta il protagonismo di qualche singolo imprenditore. Uno degli obiettivi del nuovo organismo è quello di sensibilizzare le istituzioni, perché adottino provvedimenti che riavvicinino i giovani al comparto. Rivedere la normativa sull’apprendistato potrebbe essere un ottimo strumento in tal senso.
Che un maestro di bottega debba pagare il 60 per cento della retribuzione standard per formare i suoi allievi non favorisce certamente il ricorso a questa tipologia contrattuale. La produttività del giovane alle prime armi non compensa l’onere economico che ricade sull’azienda orafa. Sarebbe auspicabile, come chiede Oroitaly, che almeno nel primo anno lo Stato si faccia carico della paga dell’apprendista. Per il paese si tratterebbe di un investimento: la formazione, perpetuando e innovando l’antica bottega, pone le basi per una crescente affermazione dell’industria orafa italiana oltre confine, con conseguenti benefici per  la bilancia commerciale.   

 

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